Pillole di “buona scuola”

Non dar loro niente di scivoloso e ambiguo come la filosofia o la sociologia affinché possano pescare con questi ami, fatti che è meglio che restino dove si trovano. (R. Bradbury, Fahrenheit 451).

Con la definizione “buona scuola” si vuol far credere che la scuola finora in atto sia stata davvero cattiva, al punto da rendere necessaria l’ennesima riforma. Ma la Legge 107 di studenti, di pedagogia e di educazione non parla affatto, se non nei termini di un restyling didattico basato sull’uso forzato delle tecnologie digitali spacciate come urgente necessità della scuola. Noi abbiamo cercato in rete pillole di antidoto alle ipocrisie della politica, alla pseudocultura tecnologica e alla scuola-azienda che ci vogliono rifilare.

DIGITALIZZARE, disumanizzare la scuola, pensare solo alle innovazioni procedurali è la maschera necessaria a nascondere il bisogno di svuotare la scuola di senso e di contenuto, con un solo obiettivo: togliere potere al pensiero critico. E dell’articolo 33 (L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento) cosa facciamo? Quale libertà potrà mai esserci in una scuola dichiaratamente asservita al potere economico, anzi, studiata in raccordo con le finalità dell’impresa, di cui, deve anche assorbire i metodi? Renzi sceglie di omettere ogni riferimento agli articoli 33 e 34 della Costituzione, sui quali è impostata la scuola repubblicana: ma pensarla ”libera” fa paura!


SLOGANISMO PUBBLICITARIO, semplificazione estrema, ansia del fare e del cambiamento nella riforma di Renzi: frenesia del nuovo a tutti i costi e velocità sono le parole d’ordine di un marinettismo di ritorno. E non vengano profanati i nomi di Don Milani e di Maria Montessori citati dal testo del governo come modelli ispiratori di un progetto che di educativo e pedagogico non ha nulla.

COS’È UN UOMO IN RIVOLTA? Un uomo che dice no. (Camus, L’uomo in rivolta). Noi studenti abbiamo bisogno di imparare a dire ”no” a chi ci vuole proni a un pragmatismo efficientista che si muove nel mare indistinto di un vuoto senza proposte e senza contenuti, ma presentato con il design dal cromatismo acceso e invitante: un nulla che sembri appetibile e appealing!

COMPETENZE come capacità di rispondere a input esterni (mondo del lavoro, economia, impresa), ma non si tiene conto che nella scuola ci sono giovani che hanno fame di senso, che vogliono conoscere i loro desideri, che hanno diritto di spiccare il volo e di nutrire il grande sogno, l’ideale di un mondo migliore.

IL VALORE DELLE COMPETENZE! Per distruggere Hiroshima e Nagasaki è bastato un dito competente che ha premuto un pulsante, quello giusto, senza dubbio! Ma è mancato un cervello per fermarlo! La mortificazione dell’umanesimo a vantaggio della tecnica e degli specialismi produce una società che dimentica la bellezza, compresa quella del pensiero.

COMPETENZA – ”comprovata capacità di utilizzare, in situazioni di lavoro (…) un insieme strutturato di conoscenze … ” (D.L. n. 13 del 16.01.2013, art.2) – Turba l’affinità fonica tra la parola ”competenze” e ”competizione”. Competenze come capacità di rispondere a input esterni (mondo del lavoro, economia, impresa), ma non si tiene conto che nella scuola ci sono giovani che hanno fame di senso, che vogliono conoscere i loro desideri, che hanno diritto di spiccare il volo e di nutrire il grande sogno, l’ideale di un mondo migliore. Non siamo ingranaggi della catena di montaggio condannati a produrre.

PROF DI SERIE A, B, C. Chi tralascerà la didattica in classe, per svolgere attività di organizzazione, progettazione, controllo e tutoring/mentoring, sarà premiato dai dirigenti scolastici in base alla sua disponibilità a collaborare, gli altri, discriminati, si “limiteranno” a lavorare in modo ”tradizionale”, cioè con i ragazzi, in classe, per formare esseri pensanti.

PUNTARE SULLE COMPETENZE attraverso soluzioni efficaci e innovative: una scuola sprint, insomma, attiva, che raggiunga obiettivi (efficace) e che si rinnovi, riducendo in macerie l’elefantiaca macchina che finora ha però sfornato scrittori, medici, magistrati e ricercatori. Tutto questo priverà la scuola della sua sostanza culturale e di ogni intenzione pedagogica, riducendola alla operosa ”fabbrichetta” di materiale umano strumentale alle logiche economicistiche imposte dal mercato.

FARE E AGIRE non sono sinonimi. Fare significa eseguire un ordine, agire vuol dire essere consapevoli delle conseguenze dei propri comportamenti: compito della scuola è formare persone moralmente belle, capaci di orientare le proprie azioni verso ideali costruttivi, tali da rendere, cioè, l’uomo degno di questo nome. E per raggiungere questo obiettivo occorre restituire valore alla cultura, in un momento storico in cui, invece, malauguratamente, hanno preso il sopravvento i valori di mercato.

L’economicismo contemporaneo non ha solo inebetito la politica subordinandola agli interessi dei grandi capitali finanziari, ma ha anche irretito la pedagogia, che sembra sponsorizzare l’efficienza, la prestazione, l’acquisizione delle competenze come indici subordinati al criterio acefalo della produttività. (M. Recalcati, L’ora di lezione).