La quarta dimensione

Tutti noi abbiamo fatto e facciamo continuamente esperienza del tempo, ma chi sarebbe in grado di darne una definizione?  Il tempo è il paradosso che meglio rappresenta la condizione umana, in quanto appartiene, simultaneamente, ad una dimensione concreta e ad una astratta, ci fa percepire la nostra finitezza, la nostra piccolezza e nello stesso momento la nostra grandezza, la nostra potenza, la nostra energia; a volte vorremmo che si fermasse, che un singolo istante si estendesse all’infinito, mentre altre volte vorremmo che scorresse il più velocemente possibile. Scandisce la musica, rende possibile la creazione di sinfonie e la coordinazione delle varie parti, ma, al tempo stesso, suonando ed abbandonandosi alla musica, esso sembra annullarsi.  E’ regolato da un orologio, è preciso e scandisce le nostre giornate, le nostre ore, rende la nostra vita razionale, governabile, gestibile, ma, al contempo, il suo scorrere ci pone di fronte all’entità più irrazionale che si possa concepire, ovvero al concetto di morte, che ci provoca paura, angoscia, senso di vuoto. 

Cos’è il tempo? E’ qualcosa di oggettivo o qualcosa di soggettivo?

 Il tempo è sempre stato oggetto di indagine per l’uomo, e la sua concezione è cambiata nel corso dei secoli: si è passati da una visione circolare, una visione ciclica di distruzione e rinascita dell’universo, a una lineare, finalistica dove  ogni istante concorre a realizzare un obiettivo, dando così un senso alla nostra esistenza… ma ciò non avviene, forse, dando pieno valore allo stesso attimo? Durante il corso dell’ ‘800, infatti, l’idea dominante è quella di progresso, e, pertanto, le filosofie sono caratterizzate da forti visioni finalistiche (con Hegel parliamo di una progressiva conquista della libertà di spirito, per Marx vi sarà l’avvento di una società di eguali, il Positivismo vede una fiducia  cieca nella scienza e nella tecnica), e ciò costituisce un oggetto di critica per Nietzsche, il quale contrappone  la sua teoria dell’eterno ritorno dell’identico (riprendendo la concezione ciclica del tempo greco), rispetto alla quale invita l’uomo a diventare protagonista della sua vita, trasformando il fatalismo in decisione, non angosciandosi di fronte alla mancanza di fondamenti dell’universo,  ma, al contrario, prendendone parte, traendo forza dal fatto che ogni istante verrà rivissuto per sempre, unico modo per farci passare da esseri effimeri a esseri immortali.

Il fascino che caratterizza il tempo, fece sì che gli venisse attribuito, da parte di Apollinaire (critico d’arte di fine ‘800- inizi ‘900), il titolo di “quarta dimensione”, applicata poi nell’arte cubista, dove essa coincide con l’infinito, con l’esperienza che facciamo dell’ arte, che concorre alla stessa valutazione di quest’ultima. Per lo stesso motivo esso è stato, inoltre, tema principale di numerosi film, che vedono la presenza di macchine del tempo per spostarsi e rivivere epoche passate, o per conoscere ciò che ci aspetterà nel futuro. Nel film “Interstellar” viene trattato il concetto di relatività del tempo: le effettive ore trascorse sulla terra non sono le stesse in tutto l’universo, tanto che il padre di una bambina, dopo essere tornato da un viaggio sulla luna, è più vecchio della stessa figlia, ma riesce comunque a trovarvi un punto di contatto grazie all’amore che lo lega ad essa, in quanto, anche di fronte ai fenomeni più assurdi, ciò che sopravvivrà per sempre sarà il sentimento di unione tra gli uomini, al di là di qualsiasi dimensione temporale e spaziale.

Insomma, in conclusione si può affermare che il concetto di tempo non possa essere inquadrabile, definibile, ma ci si deve comunque ricordare di vivere il presente, senza rimuginare sul passato o senza vivere in funzione del futuro, poiché l’attimo è la vita che ci viene offerta, e non vivendola a pieno sprechiamo il dono più grande che ci sia mai stato dato.

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