Reportage di una Exchange “neozelandese”

Come ogni exchange ‘neozelandese’, anche io mi sono tuffata nell’avventura on the road per un tour dell’isola del Sud.

La famosa isola del ‘Lord of ring’, la sconfinata terra di mezzo, dagli infiniti spazi e centinaia di km di mandrie di pecore. Mi piace ricordare questa terra come l’infinita distanza, il perfetto equilibrio fra mare, cielo e montagna, la silenziosa casa delle gonfie e basse nuvole, il luogo dove il tempo è capace di fermarsi per contemplare la perfezione del tuffo che il sole compie ogni sera nel mare del sud: la terra degli arcobaleni e dell’imprevedibile meteo, la terra degli hobbit, dei fantasmi e della fantasia.

 

Quella terra capace di aprire la mente perché non possiede un confine, ma solo infiniti orizzonti che dipingono in ogni luogo nuove sfumature di libertà, ancora selvaggia e incantata.

Descrivere ogni piccola cittadina, porto o paese di montagna, sarebbe praticamente impossibile. Ogni dettaglio è unico, posso solo dire che il posto in cui mi sono rispecchiata e di cui mi sono innamorata è Kaikura.

Inizialmente un villaggio maori, situato in questa zona per la quantità di cibo (KAIKURA in maori infatti significa nutrimento), divenuto famoso con l’arrivo degli europei come porto per la caccia delle balene.

Come ogni paese dell’isola del sud, anche questo sembra immerso in una leggenda, più che nella realtà. Saranno le nuvole basse o il contrasto fra mare e montagne innevate, o probabilmente il numero di persone che lo abitano (2000 nella stagione turistica).

Le costruzioni richiamano un po’ quelle inglesi, con la differenza che ogni casa ha dipinta qualche balena o simbolo maori o spettacolari e artistici murales, che potrebbero davvero essere considerati opere l’arte. Ma qui, come in ogni luogo dell’isola, le città, le costruzioni, le persone sono solo una minima percentuale di ciò che alla fine dei conti può interessare.

In particolare, Kaikura viene considerata la culla di balene, delfini, foche e albatros. Basti pensare che a soli 650 m dalla costa si apre il vero e proprio oceano, un canyon che nell’arco di 300 metri passa da una profondità di 100 m a 1 km e mezzo. Ricco di nutrimenti e spazio, sede di correnti che rendono l’acqua perfetta per la riproduzione, la gestazione e la nascita della maggioranza dei cetacei che nuotano al largo delle coste neozelandesi.

Comune è la ‘’SPERM WHALE’’, il nostro capodoglio, la cui connessione con la tradizione maori è assolutamente magica e affascinante. Leggende e tradizioni raccontano di come questo popolo considerasse le balene l’incarnazione degli antenati. Si dice, infatti, che con l’arrivo degli europei e la conseguente caccia e sterminio delle balene, molti saggi si siano suicidati o abbiano intrapreso l’ultimo viaggio navigando al largo per cercare di ‘salvare’ l’incarnazione dei loro cari.

Con il commercio di olio di balena la comunità di questo gigantesco mammifero è stata decimata – resoconti di baleniere affermano che in una giornata si potessero avvistare sino a 30 esemplari e durante una fortunata caccia se ne potessero prendere almeno 4  (io facendo whale watching per un intero pomeriggio non ho visto nulla, per quanto la compagnia con cui mi sono imbarcata fosse provvista di apparecchiature avanzate per la ricerca e l’avvistamento).

Kaikura, in ogni caso, per quanto Poseidone non mi abbia “baciata’’ nell’avvistamento di questa magnifica creatura, è ancora lo spot più importante sia per la ricerca sui cetacei sia per l’avvistamento.

Ora stiamo progettando di andare a Tonga, un arcipelago nel Pacifico, non troppo distante dalle isole Fuji, dove per una decina di giorni farò volontariato in una compagnia di ricerca e ‘’tour adventure whale watching’’. Il piccolo paradiso in mezzo all’oceano è un luogo popolato da balene, non capodogli ma megattere. Dai reportage che continuo a leggere il numero di creature che migrano dall’Antartide in questa zona sono più di 3000, e la possibilità di avvistarle è davvero altissima, ma la cosa più spettacolare è la possibilità di nuotare con loro.

Mancano meno di due mesi al mio ritorno in Italia, e ogni volta che ci penso mi viene una sottospecie di crampo allo stomaco. Pensare di tornare e dover salutare tutti e tutto, con la consapevolezza che molti degli amici che mi hanno accompagnato in questa esperienza non li rivedrò più. Essere una exchange vuol dire conoscere centinaia di persone, avere centinaia di fotografie, di sorrisi e ricordi di splendidi luoghi, memorie di paesi magici: un senso di nostalgia che ad ogni fine giornata assale, per un giorno in meno nel conto alla rovescia. Ma posso anche ammettere che quella ‘’semivoglia’’ di tornare A CASA inizia a fare capolino. Il pensiero di rivedere tutti, di abbracciare i miei genitori, i miei amici, di rientrare nella mia scuola, bermi un caffè e ritrovare tutti gli affetti che ho lasciato a gennaio…ammetto che la lacrimuccia stia scendendo.

 

A tra poco ragazzi!

La vostra inviata/immigrata