VI SIETE DIMENTICATI DI INSEGNARCI A SOGNARE

Questa accusa non può che ricadere sugli adulti. È una situazione impietosa ma vera: siamo una generazione dimenticata. A dircelo sono centinaia di campanelli d’allarme che vedono nei giovani sempre la stessa categoria presa di mira. Uno degli esempi tipici è sicuramente la pensione: mentre oggi ci si arrovella sull’età giusta per mandare la gente in pensione, le statistiche ci dicono che chi entra nel mondo del lavoro oggi potrebbe timbrare l’ultimo cartellino a 71 anni d’età (e chissà quelli a cui invece mancano ancora anni per finire gli studi!) Questo è forse il caso più tipico dell’egoismo tra una generazione e l’altra. Le pensioni, lo sappiamo, funzionano in modo un po’ strano: i soldi che versiamo oggi in realtà mantengono i pensionati di ieri, e quindi quelle di domani serviranno a tappare i buchi che stiamo creando ora. Aggiungete che una popolazione di 50enni come quella italiana non vede l’ora di votare un partito che accorci la loro strada verso il meritato riposo e il gioco è fatto. 

Ma questo atteggiamento emerge in tanti altri ambiti, per esempio quello dell’indipendenza. “Bamboccioni” vengono chiamati nelle statistiche (solo qui da noi in realtà) i giovani che lasciano casa dei genitori molto tardi, che spesso sono NEET (non lavorano né studiano). Insomma non si riesce ad andare oltre lo scoglio dello stereotipo. E non si guarda, sempre per esempio, al costo degli affitti e dei mutui (quale banca concederebbe un prestito ad un giovane che non si sa nemmeno se riuscirà a trovare lavoro e pagare le rate?), alla difficoltà di inserirsi nel mercato del lavoro (con buona pace dei talenti che prendono e scappano all’estero, facendo perdere all’Italia 76,000 diplomati in 12 anni, una città più grande di Savona), agli stipendi ridicoli concessi a laureati e specialisti. 

E che dire delle questioni più grandi, come il cambiamento climatico? “Meno male che ci siete voi giovani, che raggiungerete i traguardi”. Cioè cornuti e mazziati. Ignorando però che le conseguenze della crisi climatica (alluvioni, ondate di calore, perdita di raccolti, siccità, frane, mareggiate) si faranno insistenti già nei prossimi 10 anni. In pratica dopo aver fatto di tutto per andare in pensione gli adulti di oggi si ritroveranno la vecchiaia dilaniata da condizioni climatiche insostenibili. 

Non c’è proprio nessuno, in questo egoismo intergenerazionale, che ci abbia insegnato come far prendere al futuro una piega migliore, come alzare gli occhi al cielo, come sognare? Anche qui conviene andare oltre lo stereotipo.

Una categoria in particolare avrebbe questo compito: gli insegnanti. Sono loro a mostrarci cosa davvero conta, come si sta al mondo. Spesso si riduce il senso della scuola in una semplice “preparazione al mondo del lavoro”, nemmeno troppo efficace (da studente universitario confermo). Ma la scuola deve essere anche altro, non possiamo dimenticarci che finiti gli studi siamo cittadini del nostro Stato, alle prese con la realtà che ci circonda, e dobbiamo essere pronti al di là del mestiere che vogliamo imparare. Spetta dunque agli insegnanti insegnarci a sognare, emozionarci, farci lottare per le cose che ci interessano. 

Il 31 dicembre Sergio Mattarella ha tenuto il suo discorso di fine anno (e ne pronuncerà altri come sappiamo), nel farlo ha citato testualmente una lettera, cosa assolutamente rara per un Capo di Stato che di solito prepara discorsi interamente “di suo pugno”. Cosa diceva questa lettera per finire nel discorso più importante del 2021? Era il messaggio del prof Pietro Carmina, ucciso dal crollo della palazzina in cui abitava a Ravanusa, dovuta ad una perdita di gas.

“Non siate spettatori ma protagonisti della storia che vivete oggi: infilatevi dentro, sporcatevi le mani, mordetela la vita, non adattatevi, impegnatevi, non rinunciate mai a perseguire le vostre mete, anche le più ambiziose, caricatevi sulle spalle chi non ce la fa: voi non siete il futuro, siete il presente”. “Vi prego: non siate mai indifferenti, non abbiate paura di rischiare per non sbagliare”

È in queste parole che si capisce quanto possa cambiare la nostra vita l’incontro con una persona, qualcuno che ci insegni a sognare. E onestamente non so proprio perché gli insegnanti come Carmina siano frequenti come la neve nel deserto: dobbiamo davvero rassegnarci al fatto che questi professori esistano solo nei discorsi di fine anno, o nei film come l’Attimo Fuggente?

Perchè non concludiamo sognando, in una scuola dove gli insegnanti siedono alla cattedra per le loro competenze; nozionistiche, certo, ma anche umane, psicologiche se vogliamo, perchè avere a che fare con noi giovani significa essere pronti come esseri umani, con empatia (anche tanta pazienza, a voler fare un po’ di autocritica). Una scuola dove i numeri che volano sopra le teste dei ragazzi sono solo un segno a penna su un pezzo di carta – burocrazia per lo più – perchè sappiamo che ad avere valore non è il 9 sulla prima pagina ma il commento del prof in fondo al tuo tema. Una scuola che non viene interpretata solo come uno scaldare il banco, ma dove qualcuno si prende la briga di raccontarci che esistono progetti, iniziative, assemblee, una comunità insomma. 

Se credete che non ci sia necessità di tutto questo, pensate allo strato di polvere che si è depositato, all’indifferenza dei ragazzi nei confronti della scuola e delle nuove iniziative che puntualmente si schiantano contro il muro delle procedure e dei regolamenti (con o senza pandemia) e immaginate una realtà in cui, banalmente, ai giovani “frega qualcosa” della scuola, e agli adulti “frega qualcosa” dei giovani, per usare la versione volgare del motto di Don Milani. Difficile dire se tutto questo troverà spazio nella nostra quotidianità, ma una cosa è certa per quanto mi riguarda: tutti i nostri traguardi sono ad un sogno di distanza.

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