Compiti: sì o no?

Sono ormai decenni, se non secoli, che gli studenti una volta tornati a casa dopo la scuola hanno il dovere di svolgere i compiti assegnati per “consolidare gli argomenti trattati in classe”: ma è davvero così? O ormai sono solo abitudini e metodi applicati per talmente tanti anni che li si reputa essenziali, mentre non lo sono effettivamente?

Parlando da studentessa, a volte mi capita di pensare che studiare sia un’attività estenuante: cercare di avere un ottimo rendimento scolastico, studiare al pomeriggio, ripassare fino a tarda sera prima di un’interrogazione, svegliarsi prima la mattina di una verifica per rileggere un’ultima volta gli schemi. Il sistema funziona così e convivo col dubbio che sarà così in eterno.

I compiti sono un argomento molto discusso della scuola italiana: per gli studenti sono una delle peggiori torture, per gli adulti un dovere da adempiere. Dal mio punto di vista, in molti casi sono assegnati perché ormai sono parte della nostra idea di scuola; se ho fatto tutti gli esercizi di matematica più complessi che il libro propone, perché devo fare anche i più semplici solo perché mi sono stati assegnati? Se non ho bisogno di riassumere una pagina per acquisirne i contenuti, perché devo farlo? Sono tutti compiti standardizzati e richiesti uguali ad ogni studente.

Il sistema scolastico finlandese, secondo alcuni il più avanzato al mondo, ha già capito che gli argomenti devono essere compresi e consolidati grazie all’intervento di qualcuno in grado di spiegarci il perché ed il per come delle cose, dunque le scuole finlandesi prediligono orari scolastici più prolungati e niente compiti a casa.

Molti pedagogisti sostengono inoltre che una grande quantità di compiti a casa non vada necessariamente ad alimentare le conoscenze di uno studente; sta di fatto che la scuola è pensata come un sistema in cui i migliori debbano talvolta faticare invano, mentre le persone che versano in maggiore difficoltà sono chiamate a ricorrere a standard che non hanno interesse o non riescono a raggiungere.

Infine, vorrei riflettere su un fenomeno che accomuna molti ragazzi e ragazze: l’apprendimento difensivo. Questa tendenza consiste nel dimenticare, in breve tempo, le conoscenze acquisite una volta terminata la verifica o l’interrogazione per la quale abbiamo studiato tanto. Si pensa che questo fenomeno si verifichi perché spesso noi non siamo appassionati agli argomenti, ma ci impegniamo solo per il buon rendimento. A mio avviso, solo un ottimo professore, appassionato alla materia, è in grado di interessare noi studenti durante la lezione e contrastare questo fenomeno molto comune.

Concludo incitando i Ministri ad allungare lo sguardo verso altri paesi come Finlandia, Germania o Stati Uniti. Prendendo in analisi quest’ ultimi, ci rendiamo conto di come vi siano corsi suddivisi in livelli, in base all’interesse che una certa materia suscita nel singolo studente. E’ un dato oggettivo che grandi personaggi siano usciti da sistemi scolastici nei quali si dedica qualche ora di meno allo studio a casa e si concludono le spiegazioni col solo bisogno di rileggere rapidamente la lezione per assimilarla a dovere.

Maria Isabella Poggi