Cop28: il peso di 34 parole

L’evento più importante nella lotta al cambiamento climatico si è tenuto in uno dei principali paesi produttori di petrolio. Basterebbe questa contraddizione per ignorare la notizia, eppure ci sono numerosi motivi per parlare di Cop28 e dei suoi traguardi.

Cop si riferisce all’acronimo Conference Of Parties, un’assemblea di 2 settimane che riunisce tutti gli Stati, in cui i delegati nazionali decidono le misure di contrasto al riscaldamento globale attraverso un processo condiviso: è il momento in cui si possono prendere decisioni rilevanti per il futuro del pianeta.

Proprio nel corso di una Cop è stato raggiunto, nel 2015, lo storico Accordo di Parigi, che impegna i paesi firmatari a ridurre le proprie emissioni per contenere l’aumento medio della temperatura terrestre sotto gli 1,5 gradi, rispetto all’era preindustriale (1850-1900).

Sebbene le Cop siano lo strumento più importante di azione climatica, purtroppo molti impegni presi restano sulla carta o sono in grave ritardo di esecuzione e non esiste un’unica motivazione per questa situazione. Sicuramente pesa la mancanza di un meccanismo che controlli il rispetto degli obiettivi e bussi alla porta di paesi inadempienti come Stati Uniti, Russia e India. Al tempo stesso la transizione ecologica comporta un grande costo economico, e in alcuni casi anche sociale, che i paesi a basso reddito non possono permettersi. Senza dimenticare l’influenza delle lobby dei combustibili fossili, raccolte nel cartello OPEC, in grado di mettere pressione sui governi. Basta pensare alla scelta della location di questa Cop, Dubai, la capitale degli Emirati Arabi Uniti, paese tra i principali componenti dell’OPEC.

La novità di questa edizione è rappresentata dalla figura di Al Jaber, il direttore dei lavori, primo ministro degli Emirati Arabi Uniti, ma anche amministratore delegato sia della ADNOC (compagnia statale per le fonti fossili), che della compagnia MASDAR, azienda di fonti rinnovabili. Una persona che ricopre due ruoli di per sé contrapposti e per questo oggetto di forti critiche dagli ambientalisti più intransigenti, ma al tempo stesso interessante per la possibilità di mediare al meglio con i paesi OPEC più ostinati. Avrebbero prevalso i suoi legami con le fonti fossili o la volontà di affermare la sua immagine come mediatore di un accordo storico?

I primi giorni sono stati caratterizzati da un clima negativo, con la pubblicazione di un’inchiesta da parte del giornale inglese The Guardian, il quale ha diffuso una serie di audio in cui Al Jaber affermava che uno stop ai combustibili fossili avrebbe riportato l’uomo nelle caverne, e che non vi sono evidenze scientifiche che lo motivino.

In questo clima di rassegnazione, una prima versione della risoluzione finale sembrava confermare le attese. La risoluzione finale è il documento più importante di una Cop e nella prima bozza conteneva i termini “phase down from fossil fuels”, ovvero riduzione graduale dei combustibili fossili, formulazione conservatrice supportata dall’OPEC, a cui si contrapponeva un fronte di 120 Paesi, tra cui l’UE e l’America Latina, che voleva il termine “phase out”, fuoriuscita dalle fonti fossili, una posizione più decisa.

Nella bozza finale nessuno dei due termini è presente, ma al loro posto si trova questa formulazione.

«TRANSITIONING AWAY FROM FOSSIL FUELS IN ENERGY SYSTEMS, IN A JUST, ORDERLY AND EQUITABLE MANNER, ACCELERATING ACTION IN THIS CRITICAL DECADE, SO AS TO ACHIEVE NET ZERO BY 2050 IN KEEPING WITH THE SCIENCE».

L’espressione “transitioning away from” è meno drastica di “phase out”, ma per la prima volta dopo 28 anni, i combustibili fossili sono stati inseriti nel testo finale. Per la prima volta vengono riconosciute le cause della crisi climatica e non solo le conseguenze. Con questo paragrafo ogni paese riconosce il ruolo dei combustibili fossili nella crisi climatica e si impegna ad agire di conseguenza. Un’altra “prima volta eccellente”, è il riferimento alla necessità di intervenire in questo decennio, considerato critico per raggiungere la neutralità climatica nel 2050.

Questo testo è una grande vittoria del direttore emiratino Al Jaber, artefice di un accordo storico, anche se non così radicale. L’importanza di questo compromesso è espressa efficacemente dal commento di John Silk, delegato delle Isole Marshall, nazione-arcipelago che rischia di scomparire con l’innalzamento del livello dei mari: “Eravamo venuti fin qui per costruire una canoa, ne abbiamo una piena di buchi, ma dobbiamo metterla in acqua, perché non abbiamo nessun’altra opzione”.

Quest’accordo sarà l’ennesima illusione o una vera svolta nella lotta al cambiamento climatico?