Legge 40. Fondamentalismi di casa nostra

Dieci anni di battaglie legali, con 29 sentenze di tribunali civili e amministrativi, i pronunciamenti della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno stracciato la veste fondamentalista di una delle leggi più illiberali dell’Italia repubblicana, la legge 40 del 2004 sulla Procreazione medicalmente assistita (Pma). La Consulta, circa un anno fa, ha cancellato anche il divieto di fecondazione eterologa, che costringeva migliaia di italiani al “turismo riproduttivo” nell’Europa che non si fa scrivere le leggi dal Vaticano. Indubbiamente un successo del diritto all’autodeterminazione dell’individuo e del progresso scientifico.

La legge 40, infatti, fu suggerita e commissionata  dalla Conferenza episcopale italiana, allora presieduta dal cardinal Ruini, con il fine di imporre a tutti i dogmi medievali della Chiesa sulla sacralità della vita e sul concepimento “naturale” come scopo primario del vincolo matrimoniale. Vescovi e cardinali pare abbiano saputo da fonte certa che l’uso di pratiche artificiali (pillola, preservativi, …) contrasta con il disegno divino e che il “diritto alla vita” degli embrioni è preferito dal loro dio alla salute della donna, ridotta dai talebani del cattolicesimo ad un contenitore senza volontà e diritti. Purtroppo per loro, la fecondazione in vitro è ormai uno strumento diffuso, impossibile da vietare del tutto, così hanno cercato, con la complicità di politici supini, di trasformarla in una punizione fisica per le donne, in un burqa. “Il risultato non si è fatto attendere: il 19 febbraio 2004 il parlamento ha approvato una legge non solo non necessaria (la materia era già regolamentata) ma fortemente restrittiva dei diritti dei cittadini, recependo quelle direttive sul “peccato” proprie della religione ma non della sfera civile. A partire dal nome: Procreazione medicalmente assistita, per chiarire sin dall’inizio la “vera” natura della vita” (Cecilia Calamani).

Fedele alla sua matrice fondamentalista la legge è un calvario infinito di divieti: le tecniche di fecondazione sono riservate a coppie di sesso diverso, coniugate o conviventi, la cui sterilità sia documentata (artt. 4 e 5); è proibito il ricorso alla fecondazione eterologa (art. 4); impossibili le indagini preimpianto sull’embrione (art. 13); la produzione di embrioni deve essere limitata a tre, da impiantarsi contemporaneamente (art. 14); è vietata la crioconservazione di embrioni (art. 14); è negato l’utilizzo di embrioni a scopo di ricerca scientifica (art. 13). Insomma, una legge non solo incostituzionale, ma inumana, che impediva alle coppie portatrici di malattie genetiche di evitare malformazioni e malattie devastanti del feto, attraverso la diagnosi preimpianto. Il rifiuto dell’eterologa, poi, negava la genitorialità a tutte le coppie affette da sterilità assoluta. L’omofobia della legge escludeva le coppie omoaffettive o, al più, le costringeva ad una “vacanza” in Spagna. “Ma forse la cattiveria più grande è contenuta in quel numero massimo di embrioni (tre) da produrre e impiantare contemporaneamente. Il che significa, visti i bassi tassi di successo di ogni intervento, che la donna dovrebbe sottoporsi a una invasiva stimolazione ormonale per ogni tentativo di impianto a scapito della sua stessa salute”. Il Referendum del 2005, volto ad abbattere le parti più crudeli della legge, fu annullato dall’astensionismo promosso dalle associazioni cattoliche, dalla Cei, dalle tv commerciali di Berlusconi, che sfruttarono volgarmente lo scarso senso civico dei tanti italiani che si recano alle urne solo per interesse (voto di scambio, promesse elettorali, denaro). 

Per fortuna, la Corte costituzionale, le sentenze di diversi tribunali civili su casi specifici e i richiami della Corte europea dei diritti dell’uomo, hanno fatto cadere il limite di produzione massima di tre embrioni e successivo contemporaneo impianto (sentenza 151 del 2009 della Consulta), aprendo alla crioconservazione. “La suprema Corte ha stabilito in sostanza che il diritto del concepito è inferiore a quello della donna, distruggendo l’equazione cattolica secondo cui non c’è alcuna differenza tra embrione (una persona che ancora non è) e donna (una persona che è)”. Il Tar del Lazio ha bocciato il divieto della diagnosi preimpianto: “la donna non è più costretta a eseguire le analisi a gravidanza avviata per poi eventualmente ricorrere a un aborto, ma può scartare ab origine gli embrioni affetti da patologia, salvaguardando la sua salute fisica e psichica”. I tribunali hanno anche condannato il crudele divieto di accesso alle tecniche artificiali per le coppie fertili ma affette da malattie genetiche trasmissibili. Il ricorso alla fecondazione in vitro, infatti, consentendo di sapere prima dell’impianto se l’embrione è sano oppure no, eviterebbe alla coppia l’atroce condanna all’ aborto o a procreare un figlio destinato al dolore e alla morte precoce . “Per il resto, rimangono i veti per i single e le coppie omoaffettive, ancora costretti a costose “vacanze” all’estero per poter avere un figlio” ( Cecilia Calamani).

Per avere un parere scientifico autorevole su ciò che resta della legge 40, riprendiamo alcuni stralci di una intervista al professor Carlo Flamigni, padre della fecondazione assistita in Italia e membro del Comitato nazionale di bioetica, pubblicata sul mensile Confronti, a cura di Cecilia M. Calamani (ottobre 2014).  

[A proposito di “eterologa”] Secondo lei, quali potrebbero essere i rischi e quali i vantaggi di un nuovo intervento legislativo [del Parlamento italiano]? 
Forse non è superfluo spiegare come si può rendere meno efficace questa sentenza: per esempio è sufficiente stabilire l’obbligo dell’assoluta trasparenza (i figli debbono incontrare i padri biologici appena raggiunta la maggiore età) o stabilire che non è dato fare scelte di sorta: ad esempio una ragazza romagnola potrebbe trovarsi in grembo il figlio di un donatore sudanese, lo scoprirebbe solo alla nascita. Esiste, come sempre, un piano B, analogo a quello già tentato per l’interruzione volontaria di gravidanza e la legge 194: tener fuori lo Stato da questo ingrato compito e affidarlo ai privati, (a questo Stato piace molto affidare le cose che non gli piacciono alle persone a cui piacciono ancora di meno) tanto per poter far capire che si tratta di cosa non perseguibile per legge ma disordinata e moralmente illecita. Personalmente, sono terrorizzato dall’idea che i temi etici che il Paese deve affrontare e risolvere vengano discussi in questo parlamento e ritengo che se le cose non cambiano si debba cercare di risolvere la maggior parte dei problemi ricorrendo alla stesura di Linee guida temporanee. Non credo di esagerare, questo parlamento ha dimostrato di legiferare tenendo conto delle sollecitazioni dei cattolici (una cosa che Abbagnano giudicava semplicemente «disonesta»). Il problema non riguarda solo la Pma, abbiamo problemi praticamente identici per le questioni del fine vita. D’altra parte, è cosa nota, questo non è un paese per laici. […]

A oggi, i punti della legge che rimangono validi sono ben pochi. Tra questi, l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita solo per coppie coniugate o conviventi, di diverso sesso, con infertilità o sterilità accertate. Ciò significa che una parte di turismo riproduttivo – per single, coppie omoaffettive, coppie fertili con rischio di trasmissione di malattie genetiche che vogliono evitare un aborto ricorrendo alla fecondazione in vitro – continua a sussistere. Lei cosa ne pensa?
Nella legge 40, in pratica, sono rimaste solo alcune cattiverie, che per fortuna non possono fare grandi danni. Per esempio esiste ancora una norma che vieta a una donna che ha avuto un figlio con la Pma di chiedere di non essere nominata al momento del parto (cioè di decidere di lasciare il figlio perché venga adottato). Chiaramente questa scelta può rappresentare solo il risultato di un dramma familiare (il coniuge è morto e la donna non ha la possibilità economica di mantenere il figlio), ma la punizione ha un ben preciso significato: il messaggio inviato alla donna vuol farle capire che deve sopportare le conseguenze della scelta immorale e innaturale che ha deciso di fare. Quanto alle donazioni di gameti alle donne sole e alle coppie omosessuali, posso riportare un’ampia bibliografia che ne parla favorevolmente e porta dati che dimostrano che i bambini affidati a quelle cure crescono benissimo, ragione per cui sono assolutamente favorevole a una soluzione liberale del problema. Ho però qualche perplessità sull’accettazione sociale di questo concetto di genitorialità, le indagini di cui sono al corrente parlano di una residuale resistenza di un gran numero di cittadini. Si tratta solo di avere pazienza, la morale di senso comune cambia lentamente ma continuamente. 

In particolare, per le coppie fertili con rischio di trasmissione di malattie genetiche è stato sollevato un dubbio di costituzionalità da parte del Tribunale di Roma nel gennaio di quest’anno. Ma già esistono a riguardo sentenze di tribunali civili che hanno autorizzato la fecondazione in vitro in simili casi. In attesa del pronunciamento della Consulta, qual è l’iter che una coppia affetta da queste patologie deve seguire per poter ottenere la fecondazione assistita e, tramite diagnosi preimpianto, scongiurare un successivo aborto in caso di embrione non sano? 
Le indagini genetiche preimpianto eseguite sulle blastocisti vengono eseguite in un gran numero di centri italiani e i medici si sentono al sicuro perché sino ad oggi i magistrati hanno sempre dato ragione alle coppie che ne hanno fatto richiesta e oltre a ciò l’Italia è stata condannata (e severamente redarguita) da una Corte europea per il divieto (forse) contenuto nella legge 40. Se fosse possibile ragionare con serietà (e senza timore di dare spazio all’intervento dei cattolici integralisti) su questi temi, consiglierei il ministero di chiedere a una commissione di genetisti di stilare un elenco delle malattie genetiche che dovrebbero essere ricercate e delle tecniche che è oggi conveniente utilizzare. Il problema della Pma è ancora (soprattutto) un problema tecnico, ma siamo così coinvolti nella discussione etico-giuridica che ce ne dimentichiamo.