Recensione del libro: “La Schiava Bambina”

Noi ragazzi ci preoccupiamo di prendere una sufficienza nel compito di matematica, di convincere i genitori a comprarci un motorino o un cellulare nuovo.

Diaryatou, invece, a 14 anni doveva preoccuparsi di soddisfare suo marito, in ogni senso.

I primi anni della sua vita li ha passati in un villaggio della Guinea con la nonna, in uno stato di estrema miseria e povertà, ma nonostante tutto era felice. Un giorno la nonna compie su di lei la terribile pratica dell’infibulazione.

 

Diaryatou accetta, non è consapevole di cosa le stia accadendo, ma nonostante il forte dolore fisico lei lo accetta sentendosi quasi meritevole di quel dolore, come le accadrà per tutta la vita.

Dopo un breve soggiorno nella casa di famiglia con i genitori, le altre mogli del padre e i molti fratelli, alla soglia dell’adolescenza Diaryatou viene data in sposa a un uomo di trent’anni più vecchio di lei. Dopo il matrimonio, avvenuto per altro in assenza del marito, verrà portata in Europa.

E proprio qui inizieranno su di lei una serie di abusi, di umiliazioni e di torture, fino a quando dopo anni di sofferenza, di gravidanze finite in tragedia, di dolore, un programma televisivo la convince a parlare, ad aprirsi, ad andarsene. La giovane donna, approfittando di un viaggio del marito, scappa per intraprendere un iter che, tra centri di accoglienza e di asilo politico, la riporterà lentamente a vivere.

“La schiava bambina” è un libro scritto in prima persona, al presente, con un linguaggio semplice e una sintassi lineare e con lo sguardo disincantato di chi ne ha passate tante nella vita, da non stupirsi più di niente, raccontando tutto come un qualcosa di lontano e ovattato.

Ed è sconvolgente pensare che tutto questo sia successo pochi anni fa, che continui a succedere. E’ incredibile, mentre noi siamo tra i banchi di scuola, una bambina si sposa con un uomo adulto, che la priverà per sempre della felicità e dei suoi sogni.