Gli animali, fonte di proteine o di amore?

Il rapporto uomo-animale è presente fin dall’antichità ma con il corso del tempo è cambiato sia per necessità sia per un’evoluzione del pensiero umano.

Nel paleolitico il rapporto uomo-animale era semplice: infatti la grande fauna del pleistocene era solamente una fonte di sostentamento, è quindi da escludere qualsiasi tipo di rapporto affettivo, o comunque di “convenienza” (gli animali non erano usati per nessun lavoro agricolo visto che l’agricoltura si sviluppò dopo).

Durante il mesolitico la caccia iniziò a essere praticata sempre meno per via dell’estinzione delle prede principali, gli animali rimasti vennero impiegati nel lavoro dei campi: qui si ha un primo rapporto, avvenuto però per “convenienza”.

Negli anni successivi l’uomo capì che, per poter tornare ad una dieta ricca di proteine, doveva mettere in pratica un grandissimo meccanismo di conservazione, cioè l’addomesticamento, ma questa soluzione si rivelò troppo costosa, quindi per moltissimi secoli l’uomo mangiò pochissima carne: in questa fase gli animali che non vengono mangiati iniziano a rapportarsi con l’uomo.

Nell’antichità il rapporto uomo-animale è testimoniato dall’epica -nell’Odissea è evidenziato il rapporto tra Ulisse e Argo, un rapporto profondo e vero: Argo provava un amore incondizionato e aspettò il suo padrone per vent’anni. Questo è l’esempio per eccellenza del rapporto affettivo che lega uomo e cane – o anche da dipinti (in alcuni vasi Greci sono rappresentati i guerrieri con i cavalli, in questo caso abbiamo una testimonianza dei rapporti di “convenienza”, infatti, i cavalli erano usati come “aiuto” nella guerra).

Negli ultimi anni la sensibilità nei confronti degli animali è aumentata moltissimo, in parte per via del loro riconoscimento come esseri intelligenti e senzienti, capaci di provare emozioni simili alle nostre, in parte grazie alla comprensione dei numerosi benefici psicologici, fisici e sociali che derivano dal legame con loro. Tutto ciò ha fatto sì che alcuni animali, con la loro capacità di comunicare con noi, di divertirci, di stimolarci e di mostrarci affetto e attenzioni, si siano rivelati un’ottima fonte di compagnia, siano sempre più diffusi e abbiano acquisito a pieno titolo lo status di membri della famiglia.

Tuttavia, non si deve pensare a questo fenomeno come a una stranezza dell’epoca contemporanea: prendersi cura di animali da compagnia è una tendenza naturale dell’essere umano, le cui origini si ritrovano, come abbiamo già visto, in epoche molto antiche. Esiste inoltre una base biologica che rende possibile un legame affettivo tra le persone e gli animali da compagnia, data dalla condivisione di strutture cerebrali e di meccanismi fisiologici che consentono il carattere di reciprocità e che sono fonte di numerosi benefici psicofisici per la nostra salute.

Studi recenti hanno dimostrato che il rapporto tra le persone e gli animali da compagnia, in particolar modo cani e gatti, può essere considerato una forma di “attaccamento” reciproco. All’interno di questo rapporto, gli animali assumono un ruolo assimilabile a quello del bambino nella relazione con il genitore, stimolando comportamenti di accudimento da parte del proprietario, che se ne prende cura non solo nutrendoli, ma cercando di soddisfarne anche i bisogni di movimento, attenzione, affetto e gioco, proprio come si farebbe con un figlio.           

Gli animali da compagnia, a loro volta, sono in grado di fornire supporto al proprietario, soprattutto dal punto di vista emotivo, dando vita a un legame che ha caratteristiche intermedie tra il legame genitoriale e l’amicizia tra adulti.

Gli animali contribuiscono attivamente al benessere psicofisico dei loro proprietari, esercitando un effetto positivo ad esempio in termini di riduzione dell’ansia e dello stress, facilitando i rapporti sociali, stimolando il movimento fisico e suscitando emozioni positive. Tuttavia, a fronte di tanti benefici, come tutte le relazioni affettive, anche la relazione con un animale da compagnia presenta alcune criticità, legate innanzitutto alla rottura del legame dovuta alla morte dell’animale, ma anche all’anticipazione della perdita o al “carico assistenziale”, che deriva dal prendersi cura del proprio animale da compagnia affetto da malattie croniche o terminali.

Oggi in Italia, per i proprietari di animali da compagnia non è facile trovare un supporto psicologico per la sofferenza che deriva da queste situazioni, che viene spesso vissuta in solitudine, talvolta con imbarazzo e con il timore di essere giudicati perché “è solo un animale”. Dall’altra parte in questi ultimi anni abbiamo assistito a fenomeni di violenza “gratuita” verso gli animali, solo per il gusto di farlo; un esempio perfetto è la capretta uccisa a calci, ad Anagni, da un gruppo di ragazzi.

Un altro dibattito che si è sviluppato negli ultimi anni riguarda il seguire una dieta vegetariana o vegana, o no.

In Italia, tra le motivazioni che portano a seguire una dieta vegetariana si trovano per lo più quella legata al benessere e alla salute e il rispetto del mondo animale: è ormai noto che una dieta basata prevalentemente sul consumo di alimenti vegetali possa favorire la riduzione del rischio di sviluppare patologie croniche, tra cui i tumori. In generale, la dieta mediterranea tradizionale si è dimostrata più efficace nel contributo alla prevenzione dalle patologie croniche più diffuse nel nostro Paese, come tumori, malattie cardiovascolari, diabete e patologie respiratorie.

Tuttavia i ricercatori hanno anche valutato se altri modelli alimentari potessero avere effetti simili. Uno studio austriaco, pubblicato sulla rivista scientifica Plos ONE, avrebbe dimostrato che i vegetariani sono meno sani di chi segue una dieta “onnivora”.

A mio parere si può essere amanti degli animali e si può rispettarli, ma comunque l’uomo è onnivoro da sempre, quindi togliere ogni tipo di carne o, comunque, derivati sarebbe contro la nostra natura.