IL CONFLITTO DI INTERESSI DEGLI USA NEL MAR ROSSO

Rubrica: opinioni a confronto.

Il bombardamento di diverse basi militari degli Houthi in Yemen da parte di una coalizione guidata dagli Stati Uniti è raccontato dai media mainstream secondo i criteri classici della disinformazione, mescolando considerazioni pseudo-strategiche attribuite agli USA e motivazioni interne del presidente Biden.

Secondo la nostra stampa, la reazione armata degli Stati Uniti è avvenuta per assicurare la sicurezza dei trasporti marittimi. Biden non poteva subire passivamente i ripetuti attacchi, che durano ormai da quasi 3 mesi, con missili e droni progettati in Iran da parte degli Houthi contro le navi mercantili in transito nel Mar Rosso. Questo obbliga le navi a evitare la rotta più breve per il canale di Suez e a circumnavigare l’Africa. Gli Houthi, con il grande sostegno militare dell’Iran e l’ausilio sul piano missilistico di Russia e Cina, hanno preso di mira le navi legate a Israele o ai suoi alleati, definendole un obiettivo legittimo per le forze armate. Infatti, gli attacchi sono iniziati a metà ottobre, dopo lo scoppio della guerra israeliana a Gaza, in sostegno di Hamas e come rivolta di fronte ai numerosi civili uccisi.

«Gli Stati Uniti non sono in guerra con gli Houthi» ha detto il Pentagono, ribadendo in una conferenza stampa che «non cerchiamo la guerra. Non pensiamo di essere in guerra. Non vogliamo vedere una guerra regionale. Gli Houthi sono quelli che continuano a lanciare missili da crociera, missili antinave contro marinai innocenti» . Però, gli USA hanno svolto (e continuano a svolgere) numerosi raid in Yemen per indebolire le capacità militari del gruppo sciita, motivati da Washington e Londra come “un’azione difensiva”. Inoltre, hanno affondato diverse imbarcazioni degli Houthi uccidendo numerosi ribelli.

Gli Stati Uniti hanno deciso di reinserire gli Houthi nella lista delle ‘Organizzazioni Terroristiche Specializzate Globali’. La designazione entrerà in vigore tra 30 giorni. Designati come gruppo terrorista durante la presidenza di Donald Trump, gli Houthi erano stati rimossi dalla stessa lista da Joe Biden, nel 2021, per consentire l’ingresso di aiuti in Yemen. I funzionari americani hanno sottolineato che questa misura non colpirà la popolazione yemenita e il sostegno umanitario continuerà (anche se in realtà ad oggi non è stato inviato alcun aiuto). A questo proposito il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan ha dichiarato che se gli Houthi terminassero i loro attacchi verrebbero rapidamente rimossi dalla lista, in caso contrario, onde evitare che la situazione umanitaria nello Yemen peggiori, il dipartimento di stato americano farà in modo di ridurre i possibili effetti sul popolo yemenita. Gli Houthi rispondono che non si meritano di essere considerati terroristi in nome del legittimo diritto di difendere lo Yemen e di continuare a sostenere il popolo palestinese oppresso, ma anche perché non hanno causato nessuna vittima, mentre gli Americani sì.

Il vero problema per gli Houthi, ma principalmente per l’Iran, è che una guerra nel Mar Rosso rappresenterebbe una sconfitta a causa dello strozzamento economico e commerciale che comporterebbe. In effetti, se si eccettua il caso di una petroliera norvegese, il traffico di petrolio nel Mar Rosso sembra godere di una sorta di lasciapassare da parte degli Houthi. Il motivo potrebbe riflettere l’intenzione dell’Iran di evitare un’escalation nel conflitto, inevitabile se fosse colpito il traffico petrolifero, visto che un quarto del traffico mondiale transita attraverso Bab el Mandeb.

Si arriva, finalmente, a capire la volontà di far saltare gli equilibri nell’area del Mar Rosso da parte degli USA.

Gli Stati Uniti hanno raggiunto non solo l’autosufficienza energetica ma sono diventati addirittura esportatori netti di petrolio, cioè esportano più petrolio di quanto ne importano. Il petrolio statunitense però è molto costoso, poiché è ricavato dalle rocce di scisto, perciò non può competere alla pari con l’offerta dei tradizionali tipi di petrolio.

Nonostante le crescenti tensioni, il prezzo del petrolio non riesce comunque a sfondare quella soglia degli ottanta/novanta dollari, che renderebbe remunerativo il petrolio di scisto, a causa della recessione mondiale che fa cadere la domanda di idrocarburi.

Perciò l’antieconomico e antiecologico petrolio di scisto può diventare competitivo solo se per gli altri produttori risulta impossibile vendere il proprio petrolio a causa dell’aumento dei costi assicurativi, dovuti al crescente rischio del trasporto. Prova ne sia che si può comprare il petrolio a prezzi stracciati, ma se poi il vantaggio del prezzo viene rimangiato dall’enorme quantità di denaro da versare alle compagnie assicurative allora conviene comprare un petrolio più costoso e più sicuro: quello statunitense.

Se c’è, quindi, qualcuno che ha interesse commerciale a sabotare le vie di accesso del Mar Rosso, questo qualcuno sono gli Stati Uniti. Secondo gli analisti, la crisi in Yemen e, in particolare, gli attacchi alle postazioni Houthi da parte di USA e Gran Bretagna spingono al rialzo il prezzo del petrolio.

Cosa aspettarsi per il futuro? Di certo gli Stati Uniti dovranno continuare i loro attacchi, poiché ormai non è più soltanto questione di avidità dei loro petrolieri: gli investimenti nel petrolio di scisto sono stati enormi e varie aziende hanno anche cominciato a fallire. La produzione non è scesa perché tutti gli impianti sono ora utilizzati al massimo grazie alle tensioni nel Mar Rosso e nel Golfo Persico che rendono incerti i trasporti. Se, però, la situazione nel Mar Rosso e nell’intero Medio Oriente dovesse mai stabilizzarsi, le aziende del petrolio di scisto incomincerebbero a registrare numerosi fallimenti, trascinandosi dietro l’intera economia americana.