La Scala delle Priorità

                              

E’ un periodo piuttosto surreale quello iniziato tra febbraio e marzo di quest’anno. L’Italia ha vissuto numerosi momenti problematici (per usare un eufemismo) nella sua storia, eppure mai dalla fine della Seconda guerra mondiale ci si era ritrovati con la necessità di limitare la libertà di movimento delle persone, chiudere le loro attività, far compilare loro un modulo da esibire come documento anche solo per andare al supermercato.

La nostra “scala delle priorità“, il nostro elenco degli argomenti più importanti di cui parlare, ha subìto un totale ribaltamento: la situazione attuale merita tutta la nostra attenzione (dove con “nostra” si intendono anche giornali, telegiornali, media di ogni tipo…).

Un detto recita: “Non si scrivono romanzi durante la rivoluzione”, il senso è quello che traspare accendendo la televisione in una qualsiasi ora del giorno in questo periodo: nel mezzo di una crisi non c’è tempo per riflettere come facevamo nel momento di tranquillità precedente, bisogna restare concentrati sul problema e studiare alla svelta un modo per uscirne. Eppure questo “Corona Virus Disease” (CoViD-19 appunto) ci dà l’occasione per riscoprire delle nuove priorità; ci dà l’occasione per farci capire quanto fosse costruita male la nostra scala.


Non siamo mai stati capaci di inserire le cose più importanti in testa alle tendenze, questa è una delle lezioni che sarebbe meglio emergessero al termine dell’emergenza. Il problema sta proprio in quelle dozzine di notizie fondamentali che puntualmente ignoriamo, in buona fede la maggior parte delle volte, perchè pensiamo -erroneamente- che altre persone siano preposte a fornirci le informazioni più essenziali ogni giorno; ignorando che l’Italia non è mai stata all’apice della classifica della libertà di stampa (46esimi su 180 Paesi a dire la verità).

Non siamo stati capaci di percepire la portata della crisi in Siria, quando i comodi dei signori della guerra e delle loro pedine sono cambiati riversando in pochi giorni 1,000,000 di migranti in Turchia.

Non siamo stati capaci nemmeno di capire quanto sia disgustoso il dittatore turco Herdogan che per ottenere nuovi finanziamenti dall’Unione Europea ha usato i migranti ammassati al confine come leva, quasi fosse un litigio tra due Comuni su dove costruire una discarica. Nè siamo stati in grado, a dire il vero, di renderci conto dello sbaglio, da parte dell’Unione Europea, di coprire la crisi migratoria di qualche anno fa regalando 9,000,000,000 di Euro alla Turchia perchè si prendesse cura degli oltre 3,000,000 di rifugiati già presenti nella nazione (e generando quei disastrosi esempi umanitari come i campi profughi di Moria e dell’isola di Lesbo).


Non siamo stati capaci di far emergere un grido contro la crisi climatica, anche dopo i 2,000,000,000 di Euro di danni causati in appena una settimana dal maltempo lo scorso novembre (sembra passata un’eternità). E’ anche per questo che il movimento di Fridays For Future ha raccolto, nel suo primo anno di attività, un riscontro così ampio soprattutto tra i giovani. E’ infatti passato un anno da quando, il 15 marzo 2019, milioni di persone in oltre 2,000 città di oltre 150 Paesi del mondo hanno bloccato le strade per attirare sulla loro causa l’attenzione del mondo. Perchè all’atto pratico le soluzioni per contenere i danni della crisi climatica -a differenza della pandemia di oggi- esistono da tempo: è sostanzialmente il messaggio unanime del 99 % degli scienziati.

Ma di nuovo non siamo stati in grado di assemblare la Scala delle priorità nel modo corretto, e siamo finiti per dare molta più visibilità a quell’uno percento, prontamente sponsorizzato da tutti quei media che valutano una notizia semplicemente in base a quante interazioni (like, condivisioni, commenti, citazioni online e in tv) riusciranno ad ottenere; fini puramente economici insomma, senza traccia della volontà di informare.

E così facendo abbiamo anche lasciato sullo sfondo le commemorazioni per i 30 anni dalla morte del Presidente più amato della storia repubblicana, Sandro Pertini, oppure i 159 anni dall’Unità d’Italia compiuta con il Risorgimento.

Sembra proprio che la nostra scala sia sul punto di crollare: continuiamo ad aggiungere gradini, ogni cosa deve essere sempre più sensazionale e in grado di attirare l’attenzione. Non importa quanto la notizia in questione sia demenziale, l’importante è raggiungere il picco e nel frattempo preparare il prossimo colpo da sparare per mantenere il meccanismo in piedi. Può essere un esempio il “caso” delle mascherine che la Germania ha bloccato poco prima di trasferirle in Italia. Una mossa del governo tedesco che punta a prepararsi all’ondata di contagi che sta per abbattersi sulla nazione, una chiusura piuttosto egoistica se vista dal nostro lato: è proprio questo aspetto che, sfruttato adeguatamente, genera l’indignazione necessaria a far decollare la notizia. (Per onor di cronaca, le mascherine in questione sono state poi rimesse in viaggio verso l’Italia grazie alla mediazione dell’Unione Europea).


La seconda lezione da ricordare quando il lieto fine sarà arrivato a estinguere la pandemia è allora il silenzio. Un silenzio completamente nuovo, perchè è davvero surreale affacciarsi alla finestra la domenica pomeriggio e non sentire nemmeno quel rumore di fondo, il semplice rimbombo dei motori nel traffico, delle ruote sull’asfalto delle strade principali.

Forse questo periodo di stop ci offre alcune possibilità per migliorare il nostro rapporto con la realtà, per ricostruire la nostra Scala delle priorità, stavolta a regola d’arte: sarebbe anche il caso visto il nostro rapporto millenario con l’architettura!

Sarebbe qualcosa da fare se non altro per il prezzo che questo stop ha comportato: la Borsa di Milano, come quella di New York del resto, non ha visto simili disastri finanziari nè nel 2011 nè nel 2008 (e si trattava delle crisi più tragiche dal Dopoguerra).

Forse questo periodo, al termine del quale sicuramente ci riprenderemo, ci insegnerà a guardare le cose in modo diverso, a porci domande più giuste ed efficaci, magari anche ricordandoci che “abbassare il volume”, cioè diminuire la quantità di informazioni che ogni giorno ci bombardano,può essere utile per ragionare e che “alla fine della rivoluzione” un romanzo lo potremo scrivere per davvero.