MALAINFORMAZIONE E GIURIA POPOLARE: UNA PROVOCAZIONE PERICOLOSA

La proposta, da parte di Beppe Grillo, di istituire una sorta di tribunale popolare chiamato a stabilire la veridicità delle notizie diffuse dai mezzi di informazione ha scatenato – inevitabilmente – un acceso dibattito.

            Il leader de facto del MoVimento 5 Stelle, nel post “Una giuria popolare contro le balle dei media” comparso il 03 gennaio scorso sull’organo dei pentastellati Il Blog delle stelle (già beppegrillo.it), così chiudeva il suo pezzo:
            “[…] I giornali e i tg sono i primi fabbricatori di notizie false nel Paese con lo scopo di far mantenere il potere a chi lo detiene. Sono le loro notizie che devono essere controllate.

Propongo non un tribunale governativo, ma una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media. Cittadini scelti a sorte a cui vengono sottoposti gli articoli dei giornali e i servizi dei telegiornali. Se una notizia viene dichiarata falsa il direttore della testata, a capo chino, deve fare pubbliche scuse e riportare la versione corretta dandole la massima evidenza in apertura del telegiornale o in prima pagina se cartaceo. […]”

            Non si intende in questa sede affrontare la vicenda da un punto di vista meramente politico, bensì di contestualizzarla storicamente e provare a trarre alcune conclusioni al riguardo.

            Occorre partire da un dato di fatto: il livello dell’informazione nel nostro Paese, ritenuto scadente da parte dell’opinione pubblica, posizione avvalorata dagli studi di Reporter senza frontiere che collocano l’Italia al 77° posto mondiale per la libertà di stampa nel 2016 (quattro posizioni più in basso rispetto al 2015), nelle ultimissime posizioni se ci limitiamo a considerare i paesi membri dell’Unione Europea.

            A questo dato va aggiunto che, secondo l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), il 47% della popolazione italiana è caratterizzata da analfabetismo funzionale, fenomeno dilagante in questi anni Dieci del XXI secolo.

            Il fenomeno della malainformazione infine, specie via Internet, è di stretta attualità: i siti che riportano notizie false o ingannevoli pullulano, e nell’era dei social network bastano pochi secondi per rendere virale una cosiddetta “bufala”; le più diffuse quelle a tema immigrazione, assieme a quelle di carattere medico, per limitarci ai temi maggiormente rilevanti. In un epoca storica come quella in cui viviamo, connotata da forti flussi migratori, una grave crisi economica di durata ormai decennale, una altrettanto profonda crisi identitaria dei processi democratici e politici occidentali, urge più che mai un valido criterio per discernere le notizie veritiere da quelle che non lo sono.        Come fare? Sarebbe auspicabile un deciso dibattito a livello nazionale che, includendo temi come l’istruzione e la partecipazione (l’affluenza elettorale, tolto il referendum costituzionale del dicembre scorso, è in calo verticale da anni), tenti di ridurre al massimo l’analfabetismo funzionale favorendo una migliore formazione dei cittadini, rendendo la scuola superiore e l’università più libere ed accessibili; mentre, di concerto con le forze politiche, favorisca una migliore qualità dell’informazione e una maggior tutela della libertà di stampa.

            Veniamo dunque alla proposta elaborata dal MoVimento 5 Stelle: le giurie popolari. Tralasciando i facili e (a mio parere) fuori luogo richiami agli organismi che, nel corso della storia, hanno assunto varianti di questa denominazione (dal Tribunale rivoluzionario francese del 1793, al Tribunale del popolo delle Brigate Rosse, passando per il Volksgerichtshof hitleriano), una cosa va però sottolineata: la tendenza, in epoche di grande instabilità politica ed economica, da parte di alcune forze politiche di ergersi a propugnatori della unica verità e dispensatori della giustizia, dimenticando che un corpo deputato ad esercitare il potere giudiziario già esiste: la magistratura.

Pur riconoscendo che le giurie popolari pentastellate non sarebbero  ai livelli dei “tribunali speciali” sopra ricordati, va segnalato come questo tentativo rappresenti un grave gesto di insubordinazione nei confronti di chi amministra la Giustizia. Ergersi come unici detentori della Verità è, inoltre, altrettanto grave e pericoloso; se poi a farlo è una delle prime due forze politiche del Paese, dimostrando grande incoscienza, dovrebbe suonare ben più di un campanello di allarme.

            Andando poi ad analizzarne la composizione, le perplessità aumentano: come potrebbemmo essere certi che, i cittadini estratti a sorte, siano competenti riguardo ai temi contenuti negli articoli che verranno loro sottoposti? Considerando poi i tempi del mondo contemporaneo, per assolvere pienamente al loro compito le giurie dovrebbero vagliare quasi istantaneamente qualsiasi articolo e servizio proposto dai media nazionali, esprimendosi poi in pochi minuti sulla sua veridicità: un compito praticamente impossibile da portare a termine, specie da un coacervo di cittadini scelti a sorte, quindi verosimilmente provenienti dalle più svariate esperienze e senza il necessario affiatamento. Velocità e qualità raramente vanno di pari passo, ma questo problema non sembra essere stato sollevato.

            Il carattere in ultima analisi utopico della proposta di Grillo non deve far però passare in secondo piano la sua pericolosità ed avventatezza. Una forza politica, specie se espressione di una larga parte del Paese, non può permettersi certe uscite, a maggior ragione in un periodo storico come questo, caratterizzato da grande instabilità sociale e con un populismo ormai dilagante a livello globale: le percentuali ottenute alle elezioni non consegnano solo seggi da occupare, ma anche responsabilità, in primo luogo morali. Screditare la magistratura ordinaria, ergersi a detentori unici della verità affidandosi a giurie dalla dubbia qualità non possono essere serie risposte ad un problemi come quello dell’informazione e della formazione.

            Istruzione, educazione civica, partecipazione: queste sono le premesse di un futuro migliore, non certo le giurie popolari.